Il padre Gherardo Capassi a Santa Maria in Via di Roma e la sua cerchia

Santa Maria in Via a Roma (Largo Chigi), chiesa dell’Ordine dei Servi di Maria somiglia internamente un po’ alla SS. Annunziata di Firenze, forse per alcuni particolari architettonici o per certi colori che appaiono sotto la luce di finestroni in alto nella navata. Attira l’attenzione, tra le molte opere d’arte, anche un’ampia volta a botte dipinta con un affresco che ha una relazione storica proprio con il santuario fiorentino.
Prima di parlarne però è d’obbligo una breve introduzione perché Santa Maria in Via ha una sua piccola e tranquilla storia, oltre alle testimonianze in pietra o a colori. Fu costruita in epoca ignota presso l’antica via Flaminia in un luogo di campagna (oggi invece è in piena città) ed era documentata già nel 1165. Avendo poi il cardinale Pietro Capocci trovata in un pozzo una pietra su cui era dipinta un’immagine della Vergine, venne riedificata nel 1252, per conservarla. Fu quindi trasformata in parrocchiale nel 1452, ricostruita nel 1491, concessa ai Servi di Maria nel 1513 e rialzata nel 1549.
Venne naturalmente abbellita da altre opere d’arte, con la consueta prassi di un poco alla volta e con i mezzi donati dai benefattori ...

La volta del soffitto. L’affresco della volta del soffitto appartiene al pennello dal pittore pistoiese Giovanni Domenico Piestrini (1680 - 1740) e rappresenta La Prima messa di San Filippo Benizi (1723-24).
È una sinfonia di colori lievi, settecenteschi, che illuminano la navata, pur staccandosene nello stile, e illustrano un episodio originale della vita di un santo caro ai Servi: il ‘propagatore’ dell’Ordine Filippo Benizi canonizzato nel 1671. Sull’affresco la voce del Dizionario Biografico-Treccani riporta:

“L’opera, molto ammirata dai contemporanei, costituisce uno dei primi esempi di introduzione di elementi architettonici che scandiscono lo spazio della scena, all’interno della decorazione di una volta. Piestrini propose una sintesi tra gli insegnamenti barocchi di Pietro da Cortona e la leggerezza di tocco tipicamente rococò (Esuperanzi, 1987, pp. 70 s., 79).
L’affresco oggi risulta impoverito da interventi di ripristino successivi che ne hanno asportato l’originaria freschezza ...”.

I finanziamenti del padre Capassi. Il benefattore che fornì il denaro per la pittura fu un teologo noto dell’Ordine, il padre Gherardo (o Gerardo) Capassi fiorentino, affiliato al convento della SS. Annunziata di Firenze, ma all’epoca dimorante a Roma.

Nel 1725 ne lasciò memoria, come riportano le Ricordanze:
“A dì 9 luglio detto [1725]
Ricordo, come avendo il nostro reverendissimo padre teologo Gerardo Capassi ex generale, figliolo del nostro convento della SS. Nunziata di Firenze, soggiornato per lo spazio d’anni diciotto nel convento di Santa Maria in Via di Roma, servendo da teologo ad alcuni signori cardi’nali, e specialmente all’eminentissimo Conti che poi di gloriosissima memoria, fu eletto papa, col nome di Innocenzio XIII, dal quale venne con decorato con breve speciale della dignità, e prerogative di ex generale dell’Ordine, come in questo a 42; e quantunque per sì lungo spazio d’anni, fusse nel sopradetto convento di Roma dimorato senza un minimo aggravio del medesimo convento, per avere con i danari del suo deposito pagati scudi cinquanta quattro annui, a titolo di dozzina [retta], tutta volta volle generosamente beneficiare la chiesa del medesimo convento, colla bella pittura sulla volta della medesima, di lunghezza circa cinquanta braccia, e di larghezza venti in circa, rappresentante il nostro glorioso padre San Filippo Benizzi, quando celebrando la sua prima messa, fu dagl’ angeli prodigiosamente, e con stupore di tutti gl’astanti, cantato il trisagio [inno di lode] Sanctus, Sanctus, Sanctus etc., collo sborso da esso fatto del suo deposito di scudi dugento venti, che dugento furono il pagamento della pittura e gl’altri venti per l’indoratura del cornicione doppio di essa, e fece detta spesa, col beneplacito del sommo pontefice Innocenzio decimo terzo, allora vivente, il quale sommamente commendò l’impiego di tal danaro, per maggior decoro della chiesa di Santa Maria in Via. Di che si è stimato bene farne special menzione, acciò i nostri posteri sappiano essere stato fatto sì notabile adornamento da un figliolo di questo nostro convento, al quale con sommo contento, e suo, e di tutti gl’altri padri, fece ritorno, rimpatriando il dì 9 luglio 1725.
Questo sia detto a maggior gloria dell’Altissimo e della Gran Madre di Dio nostra avvocata e padrona.
La detta memoria scritta di propria mano dal sopradetto padre reverendissimo teologo Capassi ex generale, fu posta in filza H a 143".

Altri tempi. Leggendo il manoscritto e facendo qualche confronto, è quasi ovvio il commento che furono ‘altri tempi’, quelli del settecento, in quanto si pensò rigorosamente al “maggior decoro” nelle chiese e, secondo tale ottica, non piacque un triste soffitto solo intonacato. Lo si avvertì anzi come segno di trascuratezza da parte dei religiosi e quindi di poca fede. ‘Altri tempi’ perché riguardo alle chiese antiche oggi ha valore soprattutto la visione conservativa.
Il settecento, a dire il vero, fu anche un secolo enigmatico per tanti altri aspetti oscuri e controversi, determinati da personaggi influenti, brillanti, attenti alla forma e alla tradizione giuridica cattolica e da personaggi ugualmente influenti, intelligenti, ma spregiudicati, materialisti e rivolti all’interesse e alla rivoluzione – questa negli ultimi decenni.
Se si può dire, i primi ebbero come ‘figli e nipoti’ i secondi, ostinatamente contrari. E la ragione si può tentare di spiegare alla luce delle lunghe, estenuanti polemiche rimaste irrisolte nel secolo fra teologi sostenitori di certi movimenti religiosi (come il giansenismo) e quelli della tradizione ... di fatto furono vere guerre, combattute e sofferte.
Nello scorrere ‘tradizionale’ del settecento però i cattolici più influenti consegnarono ai posteri anche un’eredità materiale, come nel caso dell’affresco di Santa Maria in Via.
Il pittore e il padre teologo dei Servi, che lo resero possibile, furono a loro volta legati a un principe della Chiesa, concittadino di uno e protettore di entrambi – se non amico per sentimenti e idee. Questi fu il gesuita pistoiese Carlo Agostino Fabroni (1651 - 1727), di brillante carriera ecclesiastica, segretario di Propaganda Fide, prefetto della Congregazione dell’Indice e cardinale dal titolo di Sant’Agostino dal 1706.
Al Capassi il Fabroni fu unito, oltre che da una vita militante spesa a polemizzare, da una bella passione: i libri.

Le Ricordanze della SS. Annunziata di Firenze riportano, alla data della morte del nostro religioso (1737), proprio questa predilezione:
“[...] Curò tantissimo la Biblioteca della SS. Annunziata; quando fu vicino alla morte lasciò le consegne ai due bibliotecari, non lasciando però di portarsi quotidianamente secondo il suo costume in Libreria per assistervi, et per anco suo divertimento. Poi divenne paralitico dalla parte destra del corpo e fu messo su una sedia a rotelle nella quale era guidato ogni giorno attorno al Chiostro e per la Libreria”.

Il coltissimo cardinal Fabroni invece assecondò la sua passione in modo epico: volle fondare nel 1726 a Pistoia una Biblioteca pubblica, che sussiste ancora oggi porta il suo nome (Fabroniana), e in essa fece trasferire i suoi libri romani, migliaia di volumi, spedendoli via terra fino a Civitavecchia, quindi per mare con tre galere sbarcate a Livorno e poi a destinazione con la scorta granducale a evidenziare l’importanza del dono e dell’impresa.

Paola Ircani Menichini, 6 gennaio 2024.
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